Tempi moderni (1927) è un bellissimo film diretto e interpretato da Charlie Chaplin (1889-1977).
L’artista inglese ha descritto, dal suo angolo di visualizzazione, la giornata lavorativa di un ex vagabondo, Charlot, all’interno di un grande complesso industriale. La giornata lavorativa di Charlot è scandita da due aspetti significativi: alla catena di montaggio – tra i ritmi e i rumori infernali dettati dalle macchine – e alla dinamica relazionale che si determina tra Charlot e il direttore (burbero e autoritario) della fabbrica. Quando si evoca il rapporto tra datore di lavoro e dipendente si considera spesso quest’ultimo (e non senza ragione) la parte più debole. Lo scorso 10 Maggio la redazione di PMI. It ha pubblicato un articolo interessante che, potremmo dire, mostra, nel rapporto datore di lavoro e dipendente, l’altra faccia della medaglia.
Fedeltà del lavoratore: correttezza anche fuori ufficio. L’articolo si incentra su questo aspetto. I lavoratori subordinati non devono avviare affari in concorrenza con il proprio datore di lavoro, rendere informazioni inerenti alla organizzazione e ai metodi di produzione dell’azienda. Tutto ciò è stabilito dall’ articolo 2105/ Codice civile.
Inoltre gli articoli 1175 e 1375/ Codice civile ordinano al lavoratore correttezza e buona fede anche fuori dall’ufficio. La Corte di Cassazione si è espressa, più volte, in tema di licenziamento per violazione dell’obbligo di fedeltà al datore di lavoro. Il comportamento del lavoratore non deve risultare in contrasto con gli interessi del datore di lavoro.
L’obbligo di fedeltà, correttezza, va interpretato in senso ampio e si estende a comportamenti in conflitto con i doveri connessi a far parte di un’azienda o che causino situazioni di contrapposizione con le finalità e gli interessi dell’azienda.
La Corte di Cassazione, con sentenza 2550 del 10 Febbraio 2015, ha dato torto ad un lavoratore che contestava il licenziamento per giusta causa da parte dell’azienda per cui svolgeva una mansione e di cui era socio, determinato dal fatto che il lavoratore aveva messo in pratica, sul posto di lavoro, atti di violenza fisica nei confronti della moglie, a sua volta socia della società. Il lavoratore si è difeso ritenendo di scarsa importanza gli episodi di violenza nei confronti della moglie ed estranei all’attività lavorativa. Per la Cassazione gli episodi di violenza sono avvenuti all’interno del luogo di lavoro.
L’obbligo di fedeltà stabilito dall’articolo 2105/ Codice civile finisce al termine del rapporto di lavoro? Sì. Tuttavia, tramite l’articolo 2105, è possibile stipulare accordi volti a limitare l’attività dell’ex lavoratore (subordinato o parasubordinato). L’accordo è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro precisi limiti di oggetto, tempo e luogo. La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti e a tre anni negli altri casi.
Sarebbe bene – con un po’ di malizia e chiediamo scusa – prima creare occupazione e poi addentrarsi nella dinamica relazionale datore di lavoro – dipendente e l’obbligo di fedeltà. È importante riflettere anche sul rapporto tra dipendenti. O meglio: il comportamento scorretto di un dipendente nei confronti del proprio datore di lavoro danneggi a gli altri dipendenti e può compromettere un clima di concordia che si è stabilito tra le parti (azienda- dipendenti).
Ha scritto Primo Levi ( 1919-1987): ”L’amare il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta della felicità sulla terra”
Fonti: