Nel panorama storico del recupero crediti una figura che non possiamo non descrivere è quella del Piantone.
Ne abbiamo notizie dal noto giurista Piero Calamandrei nel suo scritto “Dal Piantone alla Pittima”, pubblicato nel 1940 nella Rivista di diritto processuale civile.
Il piantone è una figura che compare nel procedimento di esecuzione forzata per l’esazione dei debiti d’imposta nel Regno delle due Sicilie dominato dai Borboni e rimasta in vigore fino a circa 200 anni fa.
Quando il contribuente non pagava puntualmente le tasse, l’esattore poteva mandargli a casa una guardia armata detto appunto “Piantone”, al quale il debitore era obbligato a fornire vitto e alloggio presso la propria abitazione e a corrispondergli uno stipendio di due carlini al giorno.
La “dura” vita del piantone era quella di mangiare e dormire sotto lo stesso tetto del debitore per un massimo di 10 giorni. Poi se ne tornava in caserma o da un nuovo debitore.
In realtà fonti storiche confermano di abusi da parte dei Piantoni che spesso prolungavano il loro soggiorno presso i debitori finché il debito non veniva completamente estinto.
Se la morosità era inferiore ai quattro ducati, quindi abbastanza modesta, il piantone era “collettivo”, cioè la sua presenza era suddivisa tra più debitori. Pranzava da uno, cenava da un altro e dormiva da un altro ancora.
Se si lascia correre la fantasia si possono immaginare sfiziosi siparietti degni della commedia all’italiana di mariti e padri gelosi o taccagni, di figlie e mogli alle quali si attentava alla virtù, di bambini spauriti e piagnucolosi o scaltri e dispettosi che ne combinavano di tutti i colori ai danni dell’intruso armato.
Era una convivenza coatta, basata sulla pressione psicologica, che difficilmente poteva non sconvolgere il tranquillo menage famigliare.
E se il “piantonato” non pagava, lo Stato aveva comunque raggiunto lo scopo di risparmiare vitto, alloggio e diaria spettante alla guardia armata.