Cattive notizie per l’Italia che vede una emorragia crescente di preziose risorse umane.
L’Istat, infatti, nell’ultimo rapporto sulle migrazioni, ha quantificato in un milione circa i nostri connazionali espatriati tra il 2012 e il 2021, un quarto dei quali con una laurea.
Ogni anno il 5-8% dei nostri giovani altamente formati abbandona l’Italia per andare a lavorare all’estero. L’emorragia non si è fermata neanche durante l’emergenza sanitaria e nella fascia d’età 25-34 anni, quella in cui siamo messi peggio, il saldo migratorio delle persone con un titolo d’istruzione superiore, per noi è stato negativo per circa 79mila unità. Proprio in quella fascia d’età restiamo penultimi nell’Unione europea dopo la Romania.
Tra le ragioni delle partenze spiccano l’offerta all’estero di migliori opportunità, maggiori prospettive di carriera e stipendi più alti: a un anno dal titolo di studio la retribuzione è il 41,8% in più di quanto sarebbe in Italia e la forbice si allarga maggiormente col passare del tempo.
Il fenomeno dell’emigrazione colpisce prevalentemente il Sud del Paese, mentre il Nord riesce a compensare le uscite attirando proprio i giovani provenienti dal Mezzogiorno, spaccando ancora di più l’Italia in due. La fuoriuscita riguarda professioni a elevato valore aggiunto come medici, ingegneri e specialisti dell’Ict.
Come testimonia la recente fotografia scattata dall’Unesco sulla mobilità degli studenti in entrata e in uscita, l’abbandono dell’Italia è molto precoce e comincia già durante il periodo degli studi. Poi dopo difficilmente si torna indietro.