Se c’è una cosa che da oltre 70 anni è una granitica certezza è la propensione degli italiani a parlare del Festival di Sanremo. Fosse anche solo per dire che non lo vedono.
In ufficio, a scuola, in palestra, nei negozi, passeggiando in strada, non c’è modo alcuno di sfuggire. Non c’è giornale, account social, opinionista, o semplice uomo della strada che non ne parli. Bene o male, è assolutamente indifferente.
La kermesse che da 73 anni spopola nella nostra bella penisola si è trasformata nel tempo da semplice e apprezzato festival della canzone italiana al più grande palcoscenico del “tutto e di più”. Moda, costume, estetica, opinioni, mode, politica, trasgressioni, scandali reali o costruiti a tavolino. Non c’è argomento controverso che non venga dato in pasto al pubblico di Sanremo. Tutto quello che succede nel Teatro Ariston in quella manciata di giorni è studiato minuziosamente da una potente macchina organizzativa impegnata a far crescere l’audience. E sempre più spesso può capitare che perfino la musica passi quasi in secondo piano, rispetto alle varie provocazioni.
Gli organizzatori che sono ovviamente molto attenti all’asticella degli ascolti, spingono ogni anni di più sul pedale dell’acceleratore per stupire il pubblico, mantenendo però un incredibile quanto labile equilibrio tra trasgressione e tradizionalismo.
Perché?
Perché Sanremo è soprattutto business. Un gigantesco business.