I crediti Unlikely to pay, in italiano “inadempienze probabili”, cosa sono? Le inadempienze probabili sono crediti per i quali la banca giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali l’escussione (attività di riscossione coattiva del credito da parte del creditore) delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie. Quando si parla di non adempienze ci si riferisce sia al capitale che agli interessi (o a entrambi).
Solitamente si tratta di crediti di aziende finite in difficoltà. Tuttavia questa categoria di esposizioni possono ancora essere riportati in bonis, a rientrare nella normalità, grazie a interventi mirati (ad esempio per mezzo di un finanziamento).
Nei portafogli di crediti Unlikely attualmente in vendita o venduti dagli istituti di credito italiani vi sono molti soggetti. Il quotidiano “Il Sole 24 Ore” – articolo a firma di Luca Davi e Morya Longo, Allarme banche: 79 miliardi di Utp tutti da verificare, Domenica 16 Giugno 2019, p.9 – ha messo in evidenza alcuni di questi portafogli.
Secondo gli studi prodotti dalla società Pwc dal mese di Gennaio 2018 allo scorso marzo (2019) gli istituti di credito italiani hanno venduto oltre 4 miliardi di Utp. UniCredit ha ceduto un blocco di 2 miliardi, Intesa Sanpaolo intende liberarsi di 10 miliardi di Utp.
Le dieci principali banche italiane (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm, Monte dei Paschi di Siena, Ubi, Bnl, Bper, Agricole Italia, Popolare di Sondrio, Credem) dispongono di circa 79 miliardi di crediti Unlikely to pay.
Secondo alcuni addetti ai lavori vi sono due elementi fondamentali:
- Una parte dei crediti Utp risultano così malandati che ai loro occhi si avvicinano più a crediti in sofferenza.
- Le maxicessioni sottraggono tempo prezioso e le imprese salvabili rischiano di soffrire troppo prima che arrivi il salvataggio.
I crediti Utp sono crediti non rimborsati, ma con sottostanti imprese ancora vive. Nel 2018 indica Pwc, su 100 euro di crediti Unlikely, 20 sono tornati recuperati, mentre 14 sono finiti nel mucchio delle sofferenze. La criticità è dettata dal fatto che a divenire Utp, ogni anno, sono anche il 15% di crediti bonis ( la posizione creditoria che la banca vanta nei confronti di clienti ritenuti solvibili e quindi in grado di fare fronte puntualmente al rimborso del credito secondo le modalità prestabilite) e il 4% dei past due ( l’esposizione scaduta e sconfinata da più di 90 giorni).
I crediti Utp vengono svalutati molto meno dagli istituti di credito rispetto alle sofferenze. Nei primi dieci istituti di credito italiani la copertura si attesta al 36% del valore lordo, mentre i crediti in sofferenza sono coperti al 67,4%.
“Il Sole 24 Ore” riporta il caso di un’impresa che ha in animo di costruire immobili in una zona periferica di Milano. L’impresa ha ricevuto un finanziamento nel 1997, ma nel 2009 – nel pieno della crisi finanziaria globale – l’ha ristrutturato. Nel 2014 ha tentato un risanamento. Troppo per essere ancora considerata -chiede il giornale – Utp?.
La verità è che tra molte imprese salvabili, con un valido sottostante industriale, ve ne sono altre (sempre considerate Utp) che non dispongono di un buon sottostante industriale. Il timore è che l’azienda ceduta finisca in liquidazione. Quando l’istituto di credito vende un credito con dentro un’azienda ancora viva l’acquirente impiega molto tempo a studiare la situazione e a definire un programma di rilancio. Le cessioni accentuano i tempi. È una questione su cui è auspicabile una presa di posizione del legislatore.
Fonti:
Luca Davi, Morya Longo, Allarme banche: 79 miliardi di Utp tutti da verificare, “Il Sole 24 Ore”- “Finanza & Mercati”, Domenica 16 Giugno 2019, p.9
https://www.bancaifis.it/investitori-privati/glossario/crediti-in-bonis /